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Natale del Signore
PORTE APERTE E PORTE SPRANGATE - Citazione :
- ...Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell’albergo… Luca 2, 1-11
Preferisco i presepi tradizionali.
Perché colgono il mistero del Natale in uno dei suoi aspetti più significativi: il movimento.
La linea di demarcazione che divide gli uomini passa attraverso la loro capacità di muoversi in direzione dell'«avvenimento».
Le casette stesse, disseminate sul crinale della collina, denunciano questa caratteristica. Alcune hanno le finestre illuminate. Le altre rimangono fasciate dal buio.
Anche il castello di Erode ha le luci accese. Ma quelle sono luci diverse: minacciose.
Due categorie di uomini: quelli che rispondono alla provocazione dell'evento inaudito e vanno a vedere, rendersi conto, contemplare. E quelli che non abbandonano il proprio posto.
E una terza categoria: i tipi come Erode che si agitano, sono inquieti, si danno da fare perché avvertono quella Presenza come una minaccia. Il Bambino può essere un pericoloso concorrente. Bisogna correre urgentemente ai ripari, difendere il trono che vacilla, impedire al nuovo arrivato di nuocere, evitare che porti lo sconquasso tra le abitudini codificate, sconvolga le gerarchie di valori che fanno tanto comodo.
Un Dio che si muove, scende, si abbassa, viene a cercare l'uomo, è naturale obblighi a prendere posizione: la ricerca appassionata o l'indifferenza, il desiderio o la paura, l'ansia di trovare o il timore di dover fare certi conti, la povertà o la sospettosa autosufficienza.
I pastori abbandonano i loro bivacchi, avvertiti dall'alto, e vanno senza indugio a vedere «questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Le 2, 15).
E si muovono, da molto lontano, anche i Magi, per venire ad adorare «il re dei giudei».
Molti si lasciano disinstallare dalla notizia.
E troppi non abbandonano le loro case, le loro sicurezze, le abitudini, il gruzzolo, il comfort.
Questo Dio non rientra nei loro programmi. Betlemme non è compreso nei loro itinerari. Il Bambino appena nato non giustifica il viaggio.
Lei, la vergine-madre, lo ha dato alla luce. Ha permesso che la luce splendesse tra le tenebre.
«In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1, 4). C'era bisogno soprattutto di luce.
Il peccato, oltre che disgregazione, è confusione, buio fitto, dentro e fuori dell'uomo.
Ecco: «La luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l'hanno accolta» (Gv 1, 5).
Nell'ordine naturale, la luce vince automaticamente le tenebre. Dove brilla la luce, scompare necessariamente il buio.
Qui, però, le cose vanno diversamente.
C'è una potenza delle tenebre, una volontà di oscurità, che si oppone, resiste vittoriosamente, esclude la luce.
Questa è una luce «contrastata» pervicacemente, che va accolta rifiutando le tenebre.
Nell'uomo, perché entri la luce, deve prevalere un'esigenza, una voglia di luce.
Purtroppo per molti non è così.
La spiegazione del fenomeno ce l'abbiamo nel colloquio con Nicodemo: «Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano cattive. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi fa la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3, 19-21).
Dunque. Chi fa il male non vuole la luce, preferisce le tenebre, ha bisogno delle tenebre. Ciò che produce è roba sua, e non è il caso che certa mercanzia sospetta venga messa in evidenza.
Chi invece fa la verità, desidera la luce, non perché appaiano le sue opere, ma perché si veda chiaramente che «le sue opere sono state fatte in Dio».
Se fosse una luce decorativa, non c'è dubbio che tutti la accetterebbero.
Ma quella che comincia a brillare in una stalla, nei dintorni di Betlemme, è una luce inquietante, fastidiosa, che pretende frugare in tutti i ripostigli della nostra casa, in tutti gli angoli del nostro cuore.
Dio, quando scende sulla terra, vuol cominciare con la chiarezza.
Si tratta di precisare ciò che va e ciò che non va, ciò che risulta degno dell'uomo e ciò che non lo è.
Ma noi amiamo, se non proprio il buio fitto, la penombra, il chiaroscuro, le mezze luci. Una fiammella che ci rassicuri, ma nello stesso tempo non metta troppo in evidenza lo sporco che ospitiamo. Insomma, una luce che non disturbi eccessivamente, più che altro ornamentale, che non ci obblighi ad aprire gli occhi su una realtà umiliante.
Il Natale diventa così una storia di porte che rimangono ostinatamente chiuse. «Non c'era posto per loro nell'albergo».
Quando il Figlio di Dio decide di venire nel mondo, in casa propria, non si presenta nell'atteggiamento del Padrone, ma del mendicante.
Non sfonda le porte. Aspetta. Perché la porta va aperta dall'interno. L'Amore non può essere costrizione. L'Amore deve accettare il rischio di venire rifiutato, respinto.
Col Natale si inaugura il tempo della pazienza di Dio, delle attese interminabili del Mendicante divino alle porte degli uomini.
Dopo la prima porta spalancata, quella della Madre («Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto»), ecco una serie di porte sprangate, che lasciano passare da una fessura soltanto un no infastidito, e gli uomini dentro, decisi a non cedere un centimetro del loro spazio soffocante, a tenersi con le unghie i loro ingombri.
Hanno frainteso. Hanno paura di quel bambino mendicante. Paura che gli prenda qualcosa. Non capiscono che è venuto per dare.
Più tardi dirà: «Picchiate e vi sarà aperto». Ma, per sua madre, che lo recava in grembo, il picchiare è risultato inutile. Egli stesso, successivamente, si scorticherà le nocche delle dita a forza di bussare...
E se ne va, coi passi lenti della madre affaticata, e di Giuseppe, avvilito.
E se ne va a nascere fuori. Per non dare fastidio a nessuno. Per essere ancora più libero di dare.
La greppia può bastare per contenere la presenza di un neonato. Una presenza che, fin dalla nascita, evoca l'immagine del cibo offerto. Del pane spezzato per tutti.
Viene dunque mandato a nascere fuori dalla città. Così come verrà mandato a morire fuori dalla città.
Si direbbe che per un Dio che si fa uomo, gli uomini non trovino neppure un minuscolo posto da offrirgli nel mondo. E dire che l'ha fatto piuttosto grande, il mondo.
«Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto» (Gv 1, 1041).
Dio, questo abusivo.
Dio, questo estraneo.
Dio, questa presenza indesiderata.
Se venisse oggi, probabile che qualcuno si rivolgerebbe alle autorità perché gli diano il foglio di via obbligatorio.
«A quanti però l'hanno accolto, ha dato il potere di diventate figli di Dio» (Gv 1, 12).
Il nostro Natale, in fondo, al di là di tutti i fronzoli e la retorica, si gioca proprio sulla possibilità che l'accoglienza del dono inaudito prevalga sull'ostinazione del rifiuto.
Soltanto se la nostra povertà si apre alla inaudita occasione che ci viene offerta, il nostro sarà un «buon Natale».
UN SANTO E SERENO NATALE A TUTTI